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I Edizione della Rassegna Fare cinema – “Neorealismo e dintorni”

I edizione della Rassegna “Fare cinema”

Si tiene nel 2018 la prima edizione della rassegna Fare Cinema, promossa dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali unitamente alle più importanti associazioni e agenzie del settore, e volta a promuovere all’estero la produzione cinematografica italiana di qualità. Nell’ultima settimana di maggio in tutto il mondo in tutte le città in cui si trova una rappresentanza diplomatica o culturale italiana, vengono organizzati eventi di diverso tipo (proiezioni, conferenze, mostre, feste) per celebrare la grande tradizione del cinema italiano di ieri e di oggi. Tra l’altro, l’Italia è il Paese che ha vinto il maggior numero di Oscar per la categoria “miglior film in lingua straniera”, segno di un riconoscimento internazionale ampiamente condiviso.
In Cina Orientale questa prima edizione di Fare Cinema si articola in due fasi. Nella prima, dal 25 al 27 maggio a Nanchino, verrà presentata la rassegna Neorealismo e dintorni, una intensa selezione di alcuni dei film che nel secondo dopoguerra hanno segnato l’inizio della grande stagione del cinema italiano.
Seguirà a fine giugno, a Shanghai, una rassegna di film recentemente presentati alla Mostra del Cinema di Venezia, il festival cinematografico più importante d’Italia e, insieme a Cannes, Berlino e Los Angeles, uno dei massimi appuntamenti dell’anno cinematografico mondiale.
Neorealismo e dintorni vede la collaborazione di IIC Shanghai, Nanjing University, TPM, Cineteca di Milano, e ha luogo presso l’auditorium TPM, e presso Yifu Building, NJU.

Film presentati alla rassegna NEOREALISMO E DINTORNI 

  • Stromboli, 1950, Rossellini
  • Roma, città aperta, 1945, Rossellini
  • Le notti di Cabiria, 1957, Fellini
  • Rocco e i suoi fratelli, 1960, Visconti
  • La strada, 1954, Fellini
  • Mamma Roma, 1962, Pasolini
  • Ladri di biciclette, 1948, De Sica
  • Miracolo a Milano, 1951, De Sica
  • Sciuscià, 1945, De Sica
  • Paisà, 1946, Rossellini

Agenda           Sinossi              Registi

“Neorealismo e dintorni”

Il primo a rintracciare una certa continuità di forme e modelli nel cinema italiano del secondo dopoguerra è il critico cinematografico André Bazin, che nel saggio Il realismo cinematografico e la scuola italiana della Liberazione individua un nuovo approccio alla realtà nelle opere di alcuni registi italiani del tempo. Questi, infatti, secondo il critico francese, si fanno portatori di una nuova estetica, legata più alla forma del reportage che a quella del film di finzione, alla ricerca di una modalità di rappresentazione quanto più possibile aderente alla realtà. Ben lungi dall’essere una scuola, il neorealismo si definisce piuttosto come una tendenza del cinema italiano del dopoguerra, sorta senza progettualità e definita solo a posteriori, ma resa organica dalla comune attenzione verso la società italiana degli anni Quaranta e Cinquanta, impoverita e prostrata dalla guerra.

Convenzionalmente collocato tra il 1943 (data dell’uscita in sala di Ossessione di Luchino Visconti) e i primi anni Cinquanta, il cinema neorealista vanta il contributo di alcuni tra i più grandi registi italiani che, sebbene si dedichino ai temi comuni sopra citati, adottano nelle loro opere stili di regia e strategie discorsive ampiamente divergenti. Basti pensare alle differenze tra lo stile improvvisato, grezzo e privo di rifiniture di Roberto Rossellini (Roma città aperta, 1945; Paisà, 1946; Stromboli – Terra di Dio, 1950) e quello elegante, raffinato ed estremamente curato di Luchino Visconti (Ossessione, 1943; Rocco e i suoi fratelli, 1960). Al di là della comune adesione al reale sul piano del contenuto, sul piano della forma gli elementi stilistici ritenuti più ricorrenti nelle opere neorealiste sono le riprese in esterni, la coralità dei personaggi protagonisti delle vicende, l’impiego di attori non professionisti e un uso espressivo della lingua italiana, spesso di dialetti regionali.
È ancora una volta Bazin a riflettere sulla presenza di attori non professionisti in molte delle pellicole neorealiste, coniando la cosiddetta legge dell’amalgama: attori non professionisti, infatti, sono spesso amalgamati a divi – come Anna Magnani (Bellissima, Roma città aperta) o Ingrid Bergman (Stromboli, Europa ’51) – perché l’attore affermato possa guadagnare in autenticità e il non professionista in esperienza. Di fatto, tuttavia, è importante sottolineare che tutti gli attori non professionisti erano doppiati da doppiatori professionisti, in grado di restituire una dizione corretta al personaggio. Si pensi ai protagonisti di Ladri di Biciclette (1948) di Vittorio De Sica: Lamberto Maggiorani, che nel film interpreta il protagonista, era un operaio in fabbrica quando De Sica lo scelse per il ruolo dell’attacchino Antonio Ricci e la sua voce, come quella del piccolo Enzo Staiola nel ruolo di Bruno, suo figlio, è doppiata per intero.

Quando le parlate regionali irrompono sullo schermo in film neorealisti non è mai per caso, ma i dialetti sono scelti con il preciso scopo di ricercare un effetto espressivo e un’ulteriore adesione alla realtà dell’Italia degli anni Quaranta e Cinquanta, periodo in cui erano ben pochi gli appartenenti alla classe popolare a parlare in italiano. La terra trema (1948) di Luchino Visconti ne è un esempio perfetto: tutto il film è parlato in siciliano stretto, rendendo quasi impossibile per uno spettatore non siciliano comprendere i dialoghi. Così incomprensibile, la lingua del film diventa quasi un accompagnamento sonoro, una cassa di risonanza che richiama lo sciabordio delle onde che battono sulle spiagge di Acitrezza. Un simile procedimento è in atto per Rocco e i suoi fratelli, in cui il dialetto campano parlato dalla famiglia Parondi ha lo scopo di creare un contrasto ancora maggiore con l’accento settentrionale tipico di Milano; per il siciliano di Stromboli – Terra di Dio; il romanesco di Sciuscià o per le diverse parlate regionali di Paisà.

Scopo del cinema neorealista è squarciare il velo di retorica trionfalistica che aveva ricoperto l’Italia durante il regime fascista e catturare l’Italia autentica, con i suoi abitanti reali, la lingua che essi davvero parlavano, i miseri ambienti in cui si muovevano e la triste esistenza che conducevano. Fortemente tragica, infatti, è la condizione in cui versano i personaggi neorealisti: il fatale destino della famiglia Valastro (La terra trema), dei fratelli Parondi (Rocco e i suoi fratelli), degli innamorati Pina e Francesco (Roma città aperta) non risparmia nemmeno l’età della fanciullezza e dell’innocenza, come i piccoli protagonisti di Sciuscià (1946) di Vittorio De Sica e Germania anno zero (1948) di Rossellini ben dimostrano. Per sfuggire alla miseria quotidiana non resta altro che volare via a cavallo di scope da netturbini sognano un mondo in cui “buongiorno vuol davvero dire buongiorno”, come nella bellissima sequenza finale di Miracolo a Milano (1951) di De Sica.

L’azione della Storia ha lasciato solchi profondi nella società italiana del dopoguerra e il cinema ha saputo restituire con intensità sconcertante le ferite di un Paese stremato.

Chiare influenze neorealiste sono riscontrabili anche nel cinema italiano degli anni Sessanta e in opere di autori che, sebbene dichiaratamente lontani da posizioni neorealiste, non poterono evitare di confrontarsi con le forme di regia e con lo stile di chi li aveva preceduti. È il caso, ad esempio, di Pier Paolo Pasolini che, sebbene fautore di una percezione più ideologica che documentaria della realtà in netto contrasto con l’adesione al reale promossa dal cinema neorealista, inquadra ambienti simili a quelli protagonisti degli anni Quaranta: borgate romane popolate da un sottoproletariato misero e disperato. Come lui, anche Federico Fellini intrattiene un rapporto controverso con la tendenza neorealista: dopo aver avviato, poco più che ventenne, la propria carriera collaborando alla stesura della sceneggiatura di Roma città aperta, si distanzia progressivamente dal modello rosselliniano, optando invece per atmosfere oniriche, perfino magiche. Le notti di Cabiria, ad esempio, si configura come una serie di evocazioni episodiche appena tracciate – senza la compattezza narrativa che aveva caratterizzato i drammi neorealisti – cariche di suggestioni favolistiche e surreali.

INGRESSO GRATUITO SU PRENOTAZIONE

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  • Organizzato da: Istituto Italiano di Cultura Shanghai (意大利驻沪总领事馆文化处)